giovedì 14 ottobre 2010

Medicina di Biorisonanza


Per poter definire la medicina di biorisonanza, l’omeopatia elettronica e la terapia effettuata attraverso un apparecchio elettromedicale denominato MORA, occorre chiarire una serie di concetti.
Tale metodica appartiene alle cosiddette Medicine non convenzionali, in quanto non utilizzano medicamenti sperimentati “scientificamente”, “a doppio, triplo cieco” vs gruppi di controllo, in dosi ponderali, ma, fatta eccezione per i preparati fitoterapici, le preparazioni avvengono in diluizione omeopatica. Nello specifico della omeopatia elettronica, il rimedio omeopatizzato è sostituito con il corrispondente segnale elettromagnetico che corrisponde all’aspetto frequenziale del medicamento stesso.
Le medicine non convenzionali sono quelle dotate di un corpus teorico-pratico, strutturato per interventi di diagnosi, terapia, prevenzione che sono esattamente compiti del medico e della medicina, quella che si intende per medicina ufficiale. Le tecniche terapeutiche non convenzionali, invece, sono forme di terapia che mutuano la diagnosi da una di queste medicine o anche dalla medicina convenzionale e applicano, in altri termini, metodiche che non sono convenzionali (…) quando parliamo di tecnici o di medici non convenzionali, abbiamo profili professionali diversi”.[1]
Alcune di queste Medicine non convenzionali, tra cui la Medicina Ayurvedica, la Medicina Tibetana e la Medicina tradizionale Cinese, l’Omeopatia, l’Omotossicologia, la Medicina Antroposofica, la Fitoterapia hanno una storia che si perde nei secoli.
Oggigiorno, esse rappresentano un fenomeno in crescita, sia per il numero dei pazienti che si rivolge a questo genere di terapia, sia per l’aumento di medici che si interessa dell’argomento, sia per la spinta economica e politica che un movimento del genere fa intravedere.
Occorre chiarire che la definizione di Medicine Non Convenzionali, sottintende pratiche che possono essere alternative (Medicina Alternativa) o che più correttamente dovrebbero essere considerate complementari (Medicine Complementari) alla pratica medica ufficiale.
In un rapporto CENSIS che ha come tema “Comunicazione e Informazione per la salute”, si evidenzia “come, in sanità, si stia ridefinendo il rapporto fra domanda e offerta e come emergano sostanziali modificazioni nella concezione della salute e della medicina, sempre più viste come un insieme nel quale gli aspetti della prevenzione e della qualità di vita occupano uno spazio più rilevante degli aspetti tradizionali della cura delle malattie e del prolungamento della vita. È nell’ambito di tali modificazioni che si pone la crescente attenzione delle cure alternative”.[2]
I termini con i quali si connota la Medicina Non Convenzionale la rendono sicuramente attraente: oltre che alternativa e complementare, è definita anche integrativa, tradizionale, non ortodossa, dolce, naturale, olistica. Nessuna di queste definizioni, però indica il paradigma fisico al quale si riferisce.
La Medicina cosiddetta “ufficiale” ha il suo paradigma di riferimento nella fisica newtoniana, in cui il messaggio chimico è ciò che permette al farmaco allopatico di agire, la Medicina Non Convenzionale (il cui riscontro terapeutico può essere messo in evidenza sul paziente), invece, può essere compresa e accettata solo se la si inserisce nel quadro della fisica relativistica di matrice einsteiniana, laddove materia ed energia sono in un continuo rapporto diretto.[3]
Ad alcune di queste metodiche terapeutiche è stato dato un riconoscimento ufficiale e sono stati organizzati registri presso gli Ordini Provinciali dei Medici e degli Odontoiatri, come quello degli Agopuntori e quello degli Omeopati, che raccoglie oltre agli Omeopati anche gli Omotossicologi che dimostrino di aver frequentato una scuola riconosciuta dall’Ordine.
La riflessione sui fattori causali dell’aumento della richiesta di terapie non convenzionali deve comprendere non soltanto la constatazione di un allontanamento personalistico tra medico e paziente, la difficoltà di entrare in dialogo, ma soprattutto deve considerare la trasformazione subita dalla medicina nell’ultimo mezzo secolo, durante il quale, in risposta ad una tecnicizzazione e specializzazione maggiore, è aumentata sempre di più la distanza tra le due parti. L’esame clinico con il contatto fisico tra medico e paziente è scomparso, le indagini di laboratorio e strumentali sono sempre più richieste e rendono sempre meno personale il rapporto con il paziente, lasciando ad un referto la comunicazione dello stato di malattia, dimenticando che la relazione personale si impone per necessità soprattutto nei momenti di difficoltà.
La rivoluzione scientifica degli studi clinici, con l’introduzione del doppio cieco, della randomizzazione, per poter confrontare l’efficacia di una terapia in maniera obiettiva e quantitativa rispetto ad un’altra forma terapeutica o un placebo, rende l’arte medica sempre più povera.
Ciò che in passato caratterizzava il “bravo medico”, come la conoscenza, la coscienza, la capacità personale di elaborazione, l’esperienza e l’intuizione sono messe da parte.
Le linee guida elaborate da associazioni mediche se da un lato “garantiscono” il paziente, per altri aspetti diventano obbliganti e sempre più pressanti per il singolo medico essendo basate sull’evidenza, sostenute da interessi economici e politici e spesso prive di esperienza diretta.
Il delirio di onnipotenza che accompagna la medicina scientifica, si presta ad essere bersaglio di chi medico e uomo, riconosce che esistono sempre dei limiti al proprio e altrui operato.
Si afferma anche che la Medicina Non Convenzionale sia richiesta dal paziente perché trova nel terapeuta un interlocutore che si interessi di lui: vale, a questo proposito la considerazione che le conquiste scientifiche della medicina non devono farle perdere quelle caratteristiche che la arricchiscono e che le sono proprie, quali la capacità del medico di stare accanto al paziente, l’attribuire un valore agli avvenimenti accaduti nella vita del paziente, all’incontro interpersonale.
Non si può pensare che la medicina possa esistere al di fuori della società: il rapporto medico-paziente è espressione, oggi, di tutta quella cultura che se da un lato appare così tecnicizzata, dall’altro compensa questa materialità in una ricerca filosofica rivolta allospirito trascendentale”. [4]
Il rapporto medico-paziente non può non essere tecnico, nel senso che il medico deve prospettare al paziente il meglio che la medicina offre per il suo problema; ma deve essere e recuperare sempre di più la sua dimensione umana, antropologica, cosmologica e in certo qual modo metafisica, che gli è da sempre appartenuta”.[5]
Nella medicina moderna, occidentale, allopatica, l’uomo per poter essere studiato e compreso, è inserito in una visione meccanicistica di stampo cartesiano e spiegabile attraverso le leggi fisiche di Newton.[6]
L’organismo è considerato come composto da parti differenti, ognuna delle quali può essere osservata, valutata e studiata separatamente: ciò ha portato alla superspecializzazione della tecnologia attuale.
Questo genere di percorso terapeutico è anche collegato al concetto che l’uomo è costituito da parti diverse, la maggior parte delle quali eliminabili o sostituibili; il pensiero di onnipotenza e capacità manipolativa derivano, quindi, dalla consapevolezza che l’Uomo è soltanto materia gestibile


[1] Bovina G.: La distinzione tra medicine e tecniche non convenzionali. Atti del Convegno Nazionale: La professione medica e le medicine non convenzionali: rischi ed opportunità. Edizione fuori commercio FNOMCeO, Terni, 17 maggio 2002, pag. 31.
[2] Cocconi G.: Medicina alternativa: interrogativi e problemi. In: Orizzonte Medico, Bergamo, anno LVI-n.4/5 – Luglio Ottobre 2001, pag. 34.
[3] Grieco A.: Interazioni elettromagnetiche deboli ed Omeopatia in biofisica. Atti del I Convegno Nazionale A.M.O.I.C., Roma, 24 Maggio 2003, pagg. 58-67.

[4] Gallo M.L.: La Bioetica e le Medicine non convenzionali. Tesi di Laurea in Bioetica, Università Pontificia Regina Apostolorum, Roma, a.a. 2003-2004, pagg. 7-8.
[5] Cocconi G.: op. cit., pag. 36.
[6] Kiene H.: Medicina complementare & Medicina accademica. La controversia scientifica alla fine del XX secolo. Nuova Ipsa Editore, Palermo, 1997, pagg. 74-105.

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