sabato 30 ottobre 2010

Modello materiale meccanicistico della fisica newtoniana

La  concezione del mondo e della materia è stata di tipo organicistico fino al 1500: le persone erano inserite in comunità compatte, sperimentavano la natura in relazione alla corrispondenza tra fenomeni spirituali e materiali, le necessità dell’individuo erano correlate a quelle della comunità.
Fino ad allora due autorità avevano offerto il contesto per questa visione organica: Aristotele e la Chiesa.
Per Aristotele, infatti, l’approccio alla realtà non era soltanto di tipo quantitativo, ma di tipo qualitativo: l’intero non veniva considerato e rappresentato come la somma delle singole parti, ma tutte le cose venivano concepite in funzione di uno o più principi primi da cui derivavano.
L’aspirazione del filosofo era di “conoscere tutte le cose per quanto è possibile”, conoscere il principio primo dal quale tutte le cose dipendono, sono sorrette ed al quale tendono.
In questo contesto, filosofia e scienza, comunemente intesa, si trovano in posizioni antitetiche, dal momento che la scienza ha come oggetto di indagine solo una specifica parte della realtà.
In Metafisica IV, 1, Aristotele indica che una sola scienza considera l’essere in quanto tale e le proprietà che ad esso sono competenti; nessun’altra scienza particolare si può identificare con la metafisica perché nessuna di esse si occupa dell’essere in quanto universale, ma solo dopo averne circoscritto una parte, ne studia le caratteristiche.
La contemplazione di tutto il tempo, di tutto l’essere” veniva suggerita da Platone nel testo Repubblica VI, 486 A.
Quando ci si occupa della della definizione di realtà, bisogna quindi definire anche l’ambito della <metafisica>, dal momento che esiste la necessità di definire ciò che si intende per realtà: essa può essere riferita non solo a ciò che pensiamo la realtà delle cose  in sé, oggettiva, ma può riferirsi anche ad una realtà soggettiva, di come le cose vengono osservate dal soggetto, ma realtà possono essere anche gli enti che non appartengono al soggetto o all’oggetto, ma li trascendono, sono concetti universali che appartengono all’ambito trascendentale.
<Metafisica> termine inteso in riferimento al titolo dell’opera più famosa di Aristotele, indicava i libri di filosofia che venivano dopo quelli di fisica.
In realtà il significato del termine dipende da come si intende <meta>, che in greco sta a significare sia dopo, sia oltre, al di sopra.
Intendendo il significato dopo, metafisica indica la scienza che a causa della debolezza dello spirito umano, in base al nostro modo di conoscere, viene dopo la fisica, poiché prima conosciamo le realtà fisiche, conoscibili attraverso i sensi e dopo, le realtà prime, quelle perfette per definizione.
Se si assume il secondo significato, quello di oltre, allora la metafisica indica la conoscenza di tutte le cose che sono oltre le realtà fisiche, conoscibili attraverso i sensi e, pertanto, trascendenti.
Tra l’essere esisente  perché conoscibile attraverso i sensi, Platone riuscì ad arricchire questo concetto di essere, tipico del pensiero di Parmenide che negava al non-essere qualsiasi possibilità di essere concepito ed espresso, intendendolo come “diverso”.
Con l’introduzione del concetto di “diverso”, Platone concepisce la struttura della pluralità che dall’Uno fa derivare l’essere, concetto ripreso poi dal pensiero cristiano, mentre per Aristotele l’essere era originario e l’Uno deriva dall’essere.
Platone, infatti, passando dal <sensibile> al <soprasensibile>, riuscì a superare la contraddizione che nasce quando il sé conoscibile attraverso i sensi e fisico non è in grado di spiegare il sé medesimo: le cause fisiche, meccaniche diventano, allora delle concause, e le vere cause diventano allora di tipo sovrasensibile ed intelligibile.
Rifiutare il non-essere, ciò che esiste al di là di quel che viene conosciuto attraverso i sensi, in questo contesto, porta ad essere costretti a giustificare la non accettazione ed essere condizionati dialetticamente in maniera determinata. [1]
San Tommaso, riuscì nel XIII secolo a combinare il sistema della natura di Aristotele, la teologia e l’etica cristiana, attraverso concetti rimasti  indiscussi per tutto il Medioevo: la ragione e la fede avevano come obiettivo quello di capire e descrivere il significato delle cose, piuttosto che studiare i sistemi di previsione e controllo che fanno parte della fisica moderna.
Nel 1500 e nel 1600, la concezione dell’Universo da organico e spirituale, venne sostituita da quella del mondo inteso come macchina, per le scoperte ed i cambiamenti di paradigmi sia nella fisica che nell’astronomia e culminate con le teorie pubblicate da Copernico, Galileo e Newton.
Il nuovo metodo di ricerca, introdotto e sostenuto da Bacone, implicò anche la descrizione matematica della natura e la sua visione analitica venne ripresa ed arricchita  da Descartes.
Copernico, dal canto suo, riuscì a rivoluzionare la concezione tolemaica, geocentrica della natura, promossa dalla Chiesa e ritenuta valida per più di un millennio: l’uomo si trovò a perdere la sua posizione centrale all’interno della creazione divina.
 Per evitare turbamenti nelle coscienze religiose, egli ritardò la pubblicazione della sua opera nel 1543, anno della sua morte, presentando la visione eliocentrica soltanto come un’ipotesi.
Keplero, scienziato e mistico, attraverso la ricerca delle armonie nelle sfere e tramite le sue leggi, sostenne il sistema copernicano, ma spettò a Galileo, la dimostrazione dell’ipotesi copernicana come teoria scientifica valida, attraverso i suoi studi dei corpi in caduta libera e l’osservazione del cielo attraverso i suoi telescopi.
Galileo, infatti, fu  il primo a collegare sperimentazione scientifica e calcoli matematici, con lo scopo di formulare le leggi della natura.
La filosofia è scritta in un grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche”.[2]
Se da un lato Galileo escludendo le proiezioni mentali soggettive riuscì a quantificare e misurare le proprietà dei corpi materiali, limitando l’osservazione sulle proprietà quantificabili della materia, quali colore, suono, sapore, odore, fece, però, sparire tutti i parametri che riguardano l’esperienza (soggettiva) della conoscenza della natura.
Bacone, introducendo il metodo empirico – compiere esperimenti, trarre le conclusioni e verificarle in altri esperimenti -, influenzò enormemente il mondo scientifico soprattutto attraverso l’energica difesa delle sue osservazioni: la conoscenza della scienza doveva pertanto essere utilizzata per dominare e controllare la natura.
La sua concezione di natura come donna, alla quale debbano essere strappati i segreti attraverso dispositivi meccanici, metteva in evidenza le sue conoscenze delle metafore usate nei tribunali (in quanto ministro della Giustizia durante il regno di Giacomo I) e la diffusione dei sistemi di tortura alle donne accusate nei processi per stregoneria nel ‘600.
La scienza di Bacone e l’ulteriore cambiamento nel modo di vedere ed interpretare la natura subirono un ulteriore cambiamento attraverso il pensiero di Descartes e di Newton.
Il pensiero di Cartesio fu costruito su un nuovo sistema che teneva conto della fiducia, promossa dal progresso scientifico, che l’uomo aveva trovato in se stesso.
A ventitré anni egli concepì un metodo che gli consentiva di costruire una “scienza completa della natura su cui fosse possibile avere una certezza assoluta; una scienza fondata, come la matematica, su primi principi di per sé evidenti”.[3]
La sua certezza era basata sulla convinzione che fosse stato Dio ad indicargli la missione nella vita, suffragata da un sogno straordinario, la notte seguente a questa illuminazione.
Descartes intendeva cercare la verità in tutti i campi del sapere: “Tutta la scienza è conoscenza certa, evidente. (…) Noi rifiutiamo ogni conoscenza che sia soltanto probabile e giudichiamo che si dovrebbero credere solo quelle cose che sono perfettamente note e sulle quali non può sussistere alcun dubbio”.[4]
La certezza della conoscenza assoluta proposta da Descartes, si è dimostrata non possibile ed attuabile attraverso le conoscenze della fisica nel XX secolo.
Pensare che il metodo scientifico sia l’unico modo per conoscere il mondo che ci circonda, significa fare scientismo e non scienza intesa come conoscenza.
Pensare che la matematica offra il sistema per conoscere la natura, ha consentito a Cartesio di introdurre i concetti di geometria analitica, attraverso la relazione tra rapporti numerici e figure geometriche e gli ha permesso di giungere alla scienza partendo dalla filosofia.
La ricerca della verità appariva già dai titoli della sua opera: Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragione e cercare la verità nelle scienze (Discours de la méthode puor bien conduire sa raion et chercher la vérité dans les sciences).
La constatazione del poter dubitare su tutto tranne che sulla propria esistenza come pensatore (Cogito, ergo sum), lo portò a dedurre che l’essenza della natura umana risiede nel pensiero e che tutte le cose, perchè concepite in maniera chiara sono vere.
La stessa intuizione, ritenuta come “concezione della mente pura e attenta”, e la deduzione necessaria, sono le vie per giungere alla conoscenza certa.
Intuizione e deduzione erano gli strumenti utilizzati per conoscere la verità nella natura.
Il metodo analitico dello scomporre pensieri e problemi in frammenti ricomposti poi in ordine logico, è un grande contributo offerto alla scienza. La stessa frammentazione, però, nel corso dei secoli è stata responsabile del riduzionismo nel pensiero scientifico, con il ritenere che ogni fenomeno complesso possa essere scomposto semplicemente nelle parti che lo costituiscono
L’analisi così condotta portò Descartes a separare la mente dalla materia, sostenendo che “nel concetto di corpo non è incluso nulla che appartenga all’anima; e nulla in quello di anima che appartenga al corpo”.[5]
Separando il concetto di anima da quello di materia Cartesio ha allontanato la medicina dalle considerazioni psicologiche della malattia, ha scollegato la mente dal cervello e l’unico punto di contatto tra la res cogitans e la res extensa era, per lui rappresentato dalla ghiandola pineale, dove collocava l’anima razionale.
Per Cartesio, materia e spirito avevano Dio come solo riferimento comune, essendo “la fonte dell’ordine naturale esatto e della luce della ragione che consentiva alla mente umana di riconoscere tale ordine[6]; era essenziale l’esistenza di Dio, ma l’universo era considerato soltanto una macchina: nella materia non c’era né vita, né spiritualità.
Nei secoli successivi nel contesto delle scoperte scientifiche, ogni riferimento esplicito a Dio venne tralasciato e, mentre la res cogitans divenne oggetto delle discipline umanistiche, la res extensa fu oggetto di studio della scienza.
La natura venne poi capita e spiegata attraverso le leggi meccaniche e tutta la materia studiata e descritta nelle sue parti.

Per tutto il periodo successivo a Cartesio, fino al XX sec., il pensiero scientifico venne influenzato dal paradigma rappresentato dalla concezione meccanicistica della natura.

Attraverso la meccanicizzazione del pensiero scientifico, tutti i valori etici e culturali cambiarono: essendo l’universo un sistema meccanico, tutta la Natura poteva essere manipolata e sfruttata. Riprendendo il pensiero di Bacone, la conoscenza scientifica poteva essere utilizzata per “rendere noi stessi padroni e possessori della natura”.[7]
Biologi, fisici, psicologi negli ultimi trecento anni hanno condotto i propri studi derivandoli dalla descrizione cartesiana dei meccanismi che sono alla base di tutti gli organismi viventi, limitando, così, la direzione della ricerca scientifica.
Se gli organismi sono considerati come macchine, vengono anche utilizzati come tali: la conseguenza di questo riduzionismo si è manifestata anche nella medicina, la quale ha considerato e considera tuttora la malattia come difettoso funzionamento di una parte dell’uomo.
Non si può negare, d’altro canto, l’importanza del pensiero cartesiano per l’aver definito un metodo che, a livello razionale, mostra una notevole chiarezza.
Cartesio stesso delineò la teoria sui fenomeni naturali, ma il completamento della Rivoluzione scientifica fu completato da Newton.
La concezione classica del mondo, trasformata poi dalla fisica moderna, fu costruita infatti, sul modello meccanicistico newtoniano dell’Universo. Tali principi riuscirono a sostenere in maniera eccezionale tutta la scienza e per circa tre secoli diede le basi alla filosofia naturale.
Lo spazio in cui avvenivano tutti i fenomeni fisici, era lo spazio tridimensionale della geometria euclidea, caratterizzato dall’essere assoluto, immobile, immutabile. Tutti i cambiamenti che si verificavano nel mondo fisico, erano descritti in relazione ad una dimensione separata, il tempo, anch’essa assoluta, che non aveva legami con il mondo materiale e fluiva in maniera uniforme dal passato al futuro, attraverso il presente.
Gli elementi che si muovevano in questo spazio, trattati nelle equazioni matematiche come “punti materiali” erano, da Newton, considerati oggetti piccoli, solidi e indistruttibili, simili, come modello a quello degli atomisti greci.
Esisteva una distinzione tra pieno e vuoto, tra materia e spazio, ma in entrambi i modelli le particelle erano sempre identiche a se stesse in massa e forma.
La materia era sempre considerata conservata ed era definita inerte. Il modello di Newton si distingueva da quello di Democrito, perché il primo conteneva la descrizione della forza che agisce tra le particelle materiali, che era posta in relazione alla massa ed alla distanza reciproca tra le particelle. [8]
Questa forza (forza di gravità) era connessa ai corpi sui quali agiva e la sua azione si manifestava istantaneamente, a qualsiasi distanza.
Inoltre, poiché queste particelle e le forze che si esplicavano erano create da Dio, non potevano, per Newton, essere indagate ulteriormente.
Mi sembra probabile che Dio al principio abbia creato la materia sotto forma di particelle solide, compatte, dure, impermeabili e mobili, dotate di tali dimensioni e forme, di tali proprietà e di tali proporzioni rispetto allo spazio, da essere le più adatte per il fine per il quale egli le aveva create; e che queste particelle originarie, essendo solide, siano incomparabilmente più dure di qualsiasi corpo poroso da esse composto; anzi tanto perfettamente dure, da non poter mai consumarsi o infrangersi: nessuna forza comune essendo in grado di dividere ciò che Dio, al momento della creazione, ha fatto uno”.[9]
Per esprimere in forma matematica i concetti riguardanti l’effetto della forza gravitazionale, Newton fu costretto ad inventare concetti e tecniche matematiche nuove (concetti e tecniche del calcolo differenziale).
Le equazioni relative al moto dei corpi, poste alla base della Meccanica Classica, sono considerate leggi immutabili e capaci di spiegare tutti i mutamenti osservabili nel mondo fisico.
Dio, quindi, secondo Newton creò le particelle materiali, le forze che agiscono tra loro e le leggi fondamentali del moto: in tal modo l’Universo, supposto in movimento e regolato da leggi immutabili, ha continuato e continua a funzionare.[10] 
Il concepire la natura in relazione ad un determinismo rigoroso era basato sulla distinzione, introdotta da Cartesio, tra l’Io ed il mondo; conseguentemente, il mondo poteva essere descritto oggettivamente, senza considerare l’osservatore umano. La descrizione oggettiva, così presentata, fu considerata l’ideale della scienza.
Applicando le sue teorie al moto dei pianeti, Newton riuscì a spiegare le caratteristiche del sistema solare. Nonostante la semplificazione del modello, per spiegare alcuni problemi, sosteneva che Dio fosse sempre presente per risolvere tali irregolarità.
Nei periodi successivi la meccanica newtoniana fu applicata al moto continuo dei fluidi, alla vibrazione dei corpi elastici, alla teoria del calore, considerato energia associata al moto di “agitazione” delle molecole (trasformazione dell’acqua da uno stato all’altro, attraverso il calore, direttamente proporzionale all’accelerazione del movimento delle particelle – liquido, vapore, ghiaccio).

All’inizio dell’Ottocento, l’universo era, quindi, considerato come un sistema meccanico funzionante in base alle leggi del moto di Newton.

Ma all’inizio del secolo scorso, nel campo d’indagine della fisica si cominciò a cambiare sia il modo di osservare la natura, sia il modo di formulare le teorie scientifiche.

La nuova fisica, mise in luce i limiti del modello newtoniano, mostrando come la validità assoluta era impossibile per tutti i suoi aspetti.
Lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici, infatti, non poteva essere descritto attraverso le leggi di Newton, in quanto necessitavano dell’introduzione di un nuovo tipo di forza.
Michael Faraday, attraverso la produzione di una corrente elettrica, ottenuta movendo una calamita vicino ad una bobina di rame, riuscì a trasformare il lavoro meccanico necessario per muovere la calamita in energia elettrica; questo esperimento ed i successivi studi  teorici  realizzati insieme a Clerk Maxwell, consentirono di spingersi oltre la fisica newtoniana sostituendo il concetto di forza con quello di campo di forze.
In contrapposizione al concetto di attrazione tre due cariche di segno opposto, come avviene tra due masse nella meccanica newtoniana, Faraday e Maxwell introdussero il principio che ogni carica crea, nello spazio circostante, una “perturbazione” tale che un’altra carica, se presente, ne avverte la forza.
Lo spazio in grado di produrre una forza, venne definito campo, generato da una singola carica ed è esistente indipendentemente dalla presenza o assenza di un’altra carica che ne avverte l’effetto.
La forza newtoniana era legata in maniera rigida al corpo sul quale agiva; il campo, invece, aveva una propria realtà e poteva essere studiato senza riferimenti ai corpi materiali.
L’acme di questa teoria elettrodinamica, fu la possibilità di spiegare che la luce era un campo magnetico rapidamente alternante che si muove nello spazio sotto forma di onda.
Cambiando la frequenza di oscillazione, cambia l’aspetto del campo e si tratta di onde elettromagnetiche le onde radio, i raggi X, le onde luminose.
Lo stesso Maxwell cercò di spiegare i campi come stati di tensione meccanica in un mezzo leggero, definito etere, che riempiva lo spazio; le onde elettromagnetiche erano onde elastiche che si muovevano in questo etere.
All’inizio del secolo scorso i fisici potevano spiegare fenomeni diversi attraverso la meccanica di Newton e l’introduzione dei concetti di elettrodinamica da parte Maxwell, rendevano il modello newtoniano non più base di tutta la fisica.[11]





[1] Reale, G.: Filosofia antica, Ed. Jaca Book, 1996, pagg. 11-27.
[2] Galilei, G.: Il Saggiatore, a cura di Libero Sosio, Feltrinelli, Milano, 1965, nuova ed. 1979, pag. 38; Ed. Naz. delle Opere di Galileo, vol. VI, pag. 261.
[3] Capra, F.: Il punto di svolta. Scienza, società e cultura emergente. Universale Economica Feltrinelli, G. Feltrinelli Editore, Milano, 1996, pag. 50.
[4] Cit. in Garber, Daniel: Science and Certainty in Descartes, in Descartes. A cura di Michael Hooker, Johns Hopkins University Press, Baltimore, 1978.
[5] Cit. in Sommers, Fred: Dualism in Descartes: The logical Ground, in Descartes. A cura di Michael Hooker, Johns Hopkins University press, Baltimore, 1978.
[6] Capra, F.: op cit., pag. 53.
[7]Randall, John Herman: The Making of Modern Mind, Columbia University Press, New York, 1976, pag. 263.
[8] Capra, F.: Il Tao della fisica. Ed. gli Adelphi, Milano, marzo 1993, pagg. 64-65.
[9] Newton, I.: Scritti di ottica, a cura di A. Pala, libro 3, parte I, questione 31, UTET, Torino 1978, pag. 600.
[10] Capra, F.: op.cit., pagg. 66-67.
[11] Capra, F.: op.cit., pagg. 71-73.

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